La diffusione dei social (Facebook, Instagram ecc) negli ultimi anni è letteralmente esplosa, è un fenomeno che tutti conosciamo, in un modo o nell’altro. L’utilizzo iniziale è stato di ritrovare persone “perse” nel tempo, vecchi compagni di scuola, amici di infanzia; ma oggi la situazione si è totalmente trasformata. Ne è nata addirittura una professione riconosciuta con un corso di laurea dedicato: l’influencer. “Influencer” è una parola inglese collegata alle espressioni “marketing di influenza” e naturalmente “influenzare”: si riferisce al ruolo lavorativo di un individuo molto popolare sui social network che, esprimendo un parere personale è in grado di influenzare appunto l’opinione dei suoi followers (seguaci). La popolarità non si misura solo con il numero dei followers, ma anche in base alle interazioni, ovvero i famosi “like”, le visualizzazioni, i commenti e le condivisioni. Probabilmente tutti ne abbiamo sentito parlare o abbiamo avuto modo di visualizzare questi contenuti, più o meno validi e sensati. Cosa ne deduciamo sul piano psicologico? Questi fenomeni di massa creano delle dinamiche interne (ed esterne di conseguenza) di cui forse siamo poco coscienti. Due argomenti a mio avviso vanno particolarmente considerati: l’autostima e la dipendenza. “L'autostima è l'insieme dei giudizi valutativi che l'individuo dà di se stesso. Essa può essere costruita giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive… l’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali, ma hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale. Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità; detto in termini più semplici corrisponde a ciò che noi realmente siamo. Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima scaturisce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.” (www.stateofmind.it). Ci sono molte ragioni per cui ad oggi l’autostima generale è vacillante, ma sicuramente questo continuo confronto quotidiano con un mondo “ideale”, con corpi scolpiti, scarpe e borse firmate, make up all’ultima moda… non rende le cose più facili. Anzi. Possiamo considerarlo anche una delle più importanti cause scatenanti. Si fa di tutto per mettersi al centro dell’attenzione, per ragioni che spesso sfuggono ad ogni logica. È ormai convinzione diffusa che avere tanti “Mi Piace” sia un indice di successo, di stima da parte degli altri, addirittura una conferma sociale all’esserci, al sentirsi vivi. Quel like diventa un complimento pubblico, accarezza l’ego di chi lo riceve tanto quanto l’ego di chi lo fa, dal momento che è visibile a tutti: si sta “riconoscendo” un altro essere umano attraverso un’interazione sociale. Ma esattamente cosa gli si riconosce? Assisto quotidianamente a dibattiti su argomenti più disparati, persone che non si conoscono arrivano ad insultarsi perché hanno opinioni diverse e persone che invece si conoscono (spesso hanno rapporti importanti) basano il loro “affetto” sul like di una foto, sul commento non scritto, su una parola fraintesa. Rapporti si rovinano e spesso finiscono per COSE che nella vita REALE non esistono. Dico REALE perché quella vita lì non è tale. Tutti portiamo delle maschere, ogni giorno, figuriamoci in un luogo astratto, dietro ad un cellulare, dietro a frasi ed immagini fatte da altri e ri-postate milioni di volte senza nemmeno sapere bene perché. Ogni giorno, a piccole dosi, in modo silenzioso, dentro ogni individuo si insinuano pensieri legati a ciò che vede, legge e soprattutto interpreta secondo le sue idee, i suoi filtri mentali. Questi pensieri diventano rimuginio, si trasformano in emozioni…reazioni…azioni…non autentiche. Come tutte le cose, anche questi fenomeni hanno aspetti positivi, ma solo se vengono utilizzati nel giusto modo, per la funzione che hanno e non per la costruzione della personalità, processo ben più profondo e complesso di un semplice “Mi piaci”. Quando tutto questo potenziale (il social è molto utile sul piano del marketing per esempio) viene distorto tanto da diventare fondamentale per le relazioni, per “passare il tempo” ecc… allora ecco che arriva anche la dipendenza. Siete mai stati in compagnia di qualcuno che non vi guarda in faccia che per 10 minuti scarsi ma sta invece costantemente al cellulare? Io si, purtroppo. Più volte di quante
avrei voluto. Come ci si sente? Beh come se dall’altra parte ci fosse qualcosa o qualcuno degno di più attenzione, più importante di noi, che invece siamo lì davanti. Ed eccoci di nuovo all’autostima. Chi ha una autostima forte o comunque sana, ci fa caso ma non ne fa un dramma. Magari lo fa notare, magari sorride e se ne va perché quel tempo e quello spazio non vanno sprecato. Ma chi ha una autostima fragile o vacillante…. Beh ha tutt’altra reazione. Iniziano le paranoie mentali, la paura di non essere abbastanza, di annoiare, di non valere quel tempo. Io non so se ci avete mai pensato, ma è terribile. Avere qualcuno davanti che ti fa sentire così, ma soprattutto concedergli questo potere! E dall’altro lato? Chissà. Qui si sfocia in un latro argomento importante: il narcisismo. Si perché esiste anche un narcisismo digitale: la mania del “like” è anche una patologia. Il narcisismo indica una condizione psicologica, ma anche culturale e sul piano personale esso assume sia connotazioni sane che patologiche: parliamo di un narcisismo sano o “normale” quando l’investimento su se stessi è sinonimo di autostima e di amor proprio; esso invece, diviene patologico quando l’amore è diretto solo verso se stessi e si è incapaci di rivolgere la propria affettività ad altri. Da un punto di vista culturale, invece, il narcisismo corrisponde ad una mancanza di valori, di superficialità e di senso di umanità che porta gli individui a disinteressarsi a ciò che li circonda. “Con l’espressione di “narcisismo digitale” alcuni filoni di ricerca indicano un insieme di pratiche comunicative tipiche dell’universo 2.0 e fondate su un egocentrismo così accentuato da apparire patologico (Zona, 2015). Secondo la Teoria degli usi e gratificazioni (Katz, Blumler, Gurevitch, 1974; Papacharissi, Mendelson, 2011), più l’individuo percepisce che un medium soddisfa alcuni suoi bisogni, più lo userà proprio per quello scopo, in particolare se l’individuo non si sente capace di farlo nell’ambiente reale.” … “Il narcisismo digitale si esprime attraverso una serie di azioni “estremizzate” molto diffuse come ad esempio scattarsi dei selfie (pratica che caratterizza maggiormente gli adolescenti, ma ove innumerevoli adulti non fanno eccezione) o condividere momenti, a volte fin troppo intimi, della propria vita quotidiana. Lo share o meglio l’oversharing, vale dire l’eccesso di condivisione di informazioni, fa parte del loro modo di stare nel mondo, diventa un gesto istantaneo… una naturale estensione del Sé”. (www.stateofmind.it). Estensione del Sé: ci rendiamo conto? Un’istanza (il Sé appunto) così profonda, così faticosa da costruire e ritrovare, così immensa. Noi la vogliamo esprimere con un selfie. Ma viviamo davvero in un mondo in cui un’immagine virtuale è diventata più importante del nostro contenuto interno? Delle chiacchierate davanti ad un caffè? C’è tanto su cui riflettere, soprattutto per queste nuove generazioni che hanno in mano cellulari da 1000 euro come se niente fosse. Concludo ribadendo che non c’è intenzione di demonizzare a tutti i costi il fenomeno social, ma a mio avviso manca un requisito fondamentale per poterlo gestire al meglio: la consapevolezza. Quella non la troviamo in nessun posto “fuori di noi”, la si coltiva con uno stato di presenza, “essendo” nel qui ed ora: guardando un tramonto sul mare, ascoltando una canzone emozionante, camminando in un parco, assaporando un cibo gustoso, respirando o “banalmente” guardando chi abbiamo di fronte a noi. E soprattutto essendo grati di ciò che si ha, lì davanti agli occhi.
Articolo pubblicato sulla rivista ufficiale di Feditalimprese PIemonte
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