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Immagine del redattoreSilvia Nicolardi

Emozioni al tempo del Covid-19


Secondo l’Ordine degli psicologi: “Il 63% degli italiani soffre di stress da pandemia. I sintomi? Insonnia, ansia e depressione”. La perdita del lavoro, la precarietà diventata regola, l’incertezza del futuro, la paura per sé e per i propri cari, la lontananza dagli affetti, anche quelli più importanti, ma anche la semplice privazione della libertà di compiere le azioni più banali. La vita degli italiani è stata completamente stravolta dalla pandemia e dalle misure adottate per limitare il contagio, ma tutto questo sta avendo delle conseguenze. Insonnia, mal di testa, mal di stomaco, ansia, panico e depressione. Da quando è iniziato il lockdown, il 63% degli italiani ne soffre e si definisce “molto o abbastanza stressato”, mentre il 43% è consapevole di vivere in “un livello massimo di stress”. Questi sono i dati riportati da “Il Fatto Quotidiano”. Quali sono gli effetti psicologici della pandemia? Come sta reagendo e reagirà la mente? Il rischio di un Disturbo da Stress Post Traumatico è reale. La pandemia ha indubbiamente comportato ripercussioni in tutti gli ambiti della vita così come era conosciuta e vissuta prima. Improvvisamente abbiamo dovuto riorganizzare le nostre abitudini, far fronte a nuovi problemi, elaborare nuove strategie d’azione e di pensiero, senza poter contare sui mezzi e le risorse sempre avuti a disposizione e spesso dati per scontati.

A mio avviso, il grosso problema, dal punto di vista emotivo, è stato quello di dover gestire un CAMBIAMENTO. L’etimologia della parola ci dice: “mutamento improvviso di situazione, di uno stato di cose; In sociologia, i cambiamenti sociali e culturali determinano trasformazioni nella struttura sociale e culturale di un gruppo.” Da sempre, la nostra psiche è reticente al cambiamento, lo percepisce come qualcosa di pericoloso e quindi tende ad evitarlo, a difendersi come meglio riesce. Ma non sempre è possibile, nel caso specifico del Covid ci è stato imposto. Per far fronte ad un cambiamento che è al di fuori del nostro controllo, è necessario accettare il fatto che non possiamo sempre e completamente tenere tutto sotto controllo, non siamo invincibili. Questo conflitto interiore porta ad una riorganizzazione dell’idea che si possiede di sé, alla presa di coscienza della propria vulnerabilità e quindi ad una obbligata ristrutturazione dell’idea non solo di se stessi, ma soprattutto delle proprie sicurezze. Quando viene meno la percezione di avere il controllo della propria vita, come nel caso delle limitazioni imposte durante questa esperienza di quarantena, nel tentativo di conservare un’immagine positiva di sé, possono verificarsi reazioni molto differenti. Non tutti riescono a reagire in maniera adattiva ed è facile sprofondare nella depressione o nell’apatia, soprattutto in mancanza di supporto e quando le sfide da affrontare sono molteplici e particolarmente destabilizzanti. È facile immaginare come alcune reazioni alla quarantena siano state comuni ad ognuno noi, mentre altre siano estremamente variabili e personali. Le più comuni sono state solitudine, senso di inattività, mancanza di stimoli, paura, noia, incertezza. Le vulnerabilità individuali sono state acuite, in alcuni casi esasperate. Queste vulnerabilità hanno scatenato emozioni e pensieri negativi e stress generalizzato. Il rimuginio mentale, ossia una modalità di pensiero perseverante e ripetitivo, focalizzato su contenuti negativi, è spesso messo in atto di fronte a pensieri automatici negativi. In questo modo viene prolungato lo stato di stress, che influisce sul benessere generale ed anche sulle prestazioni. Infatti una delle questioni più dolenti è la condizione lavorativa legata non solo al doversi adeguare alle restrizioni obbligatorie, ma anche al decidere come agire, quali cambiamenti attuare eventualmente per supplire alla chiusura temporanea delle varie attività, alcune delle quali risentiranno in modo importante del fermo imposto. All’improvviso la tecnologia è diventata l’unico mezzo di comunicazione, costringendo anche chi aveva poca dimestichezza con smartphone, tablet e pc a familiarizzare con essi, con lo scopo comune di restare “collegati” con il mondo. Un nuovo mondo “digitalizzato. Tutte le attività quotidiane, lavoro, scuola, terapie, allenamenti etc. hanno iniziato ad essere svolti on-line, con non poche conseguenze su più livelli. Questo sommato ad una convivenza obbligatoria 24h al giorno con familiari e partner, innescando una serie di meccanismi e reazioni molto difficili da sostenere ed accettare: niente più svaghi, niente più spazi propri, ma un unico spazio condiviso. Aggiungiamo il bombardamento mediatico e chi, purtroppo, prova a lucrare anche in queste situazioni di disagio ed emergenza. Si perché forse è stato tralasciato un aspetto importante ed estremamente umano: l’etica. Non solo professionale, ma soprattutto verso coloro che hanno difficoltà, se non impossibilità, a pagare affitti, bollette etc. In questo frangente c’è stato chi ha sviluppato senso umano ed empatia e chi, invece, ha pensato esclusivamente ai propri interessi.

Ma …cosa affronteremo ora che tutto si è rimesso in moto? E come? Il timore principale è che il mondo non sia così come lo abbiamo lasciato, ma questo, a mio avviso e per certi versi, potrebbe anche essere un bene. La mente umana ha bisogno di tempi adeguati per metabolizzare gli eventi, comprenderli ed accettarli: il COVID-19 rappresenta indubbiamente un trauma per ciascuno di noi, una frattura anche temporale tra un “prima” ed un “dopo”. È possibile che molte persone sviluppino appunto quello che la psicologia definisce un Disturbo da Stress Post Traumatico (PTDS) nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. È per questo che non vanno assolutamente sottovalutate le emozioni, le reazioni interne, i pensieri che ne scaturiscono. Molti dei quali purtroppo non sono nemmeno così chiari e consapevoli, ma lavorano al di sotto della coscienza, in modo molto più forte ed intenso di quelli invece razionali e logici. Questo virus ha portato a galla disperazione, rabbia, paure e disagi presenti nella società moderna, ma spesso celati o mascherati. Leggo su un articolo di “Stateofmind.it” che “quello che emerge da questa revisione di studi è che in generale le persone sottoposte a quarantena tendono a riportare maggiori condizioni di stress rispetto a chi non ha ricevuto questa misura restrittiva, ma ad emergere in modo particolarmente evidente sono problematiche emotive quali la paura e la preoccupazione di poter contrarre la patologia o di poterla trasmettere ad altri, ma anche l’ansia di non riuscire a svolgere attività importanti come acquistare cibo e generi di prima necessità. Gli studi hanno messo in evidenza che l’agitazione può anche essere legata a problematiche di natura lavorativa, economica o familiare dovute all’incertezza della situazione in cui si sta vivendo. La noia e la solitudine legate al cambio di stile di vita ed ai lunghi periodi passati a casa, insieme all’interruzione così repentina della quotidianità, potrebbe anche portare a maggiore tristezza ed umore depresso, ma anche frustrazione ed irritabilità legate all’assenza di libertà di movimento e l’impossibilità di poter svolgere delle attività a cui si tiene. A tutte queste problematiche possono anche aggiungersi difficoltà del sonno e a svolgere le attività quotidiane, ma anche il rischio di stigma ed emarginazione sociale.” Come sottolineato dall’American Psychological Association (APA, 2020), il passare molto tempo a casa con stimoli e contatti sociali limitati potrebbe comunque essere considerato rischioso per il benessere psicologico degli individui. Infatti nonostante le problematiche psicologiche legate alla “limitazione degli spostamenti” (raccomandazione di restare a casa) non siano equiparabili a quelle vissute in quarantena o in isolamento, e nonostante a livello globale le influenze negative per la salute mentale degli individui sembrino essere ancora sotto controllo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, 2020a) ha comunque espresso preoccupazione i livelli di stress che sta generando questa crisi globale. Per questo motivo, sebbene, non ci siano ancora ricerche che possano dimostrare le conseguenze psicologiche delle restrizioni di mobilità causate dal COVID-19, precedenti studi condotti su esperienze stressanti e condizioni ambientali limitanti ed ostili hanno permesso a numerosi enti, organizzazioni, ordini ed associazioni scientifiche nazionali ed internazionali (Australian Psychological Society, 2020; Berufsverband Österreichischer PsychologInnen, 2020; Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, 2020a; 2020b; Centers for Disease Control and Prevention, 2020; European Federation of Psychologists Associations, 2020; Ordem dos Psicólogos Portugueses, 2020), di sintetizzare, in ottica di prevenzione, alcuni consigli da applicare per supportare il benessere psicologico e la salute mentale durante l’epidemia di COVID-19. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, 2020a) ha chiaramente espresso la necessità di affiancare alle misure di contenimento del COVID-19 azioni di supporto del benessere psicologico per aiutare la popolazione ad affrontare lo stress generato da questa crisi. La rabbia, rispetto alla paura, mostra somiglianze e differenze. È anch’essa come la paura un’emozione che segnala una minaccia, un pericolo” … “la paura può essere impersonale, la rabbia è interpersonale. Reagire al coronavirus con rabbia e non con paura significa quindi cercare un autore cattivo, una intenzione malevola, intenzione che naturalmente non può essere attribuita al virus, invisibile e inoltre troppo elementare come organismo per essere oggetto di un’aggressione sensata. L’aggressione si volge quindi verso gruppi umani a cui è addossata una intenzione malevola” …” Reagire con rabbia comporta una serie di vantaggi che la fanno preferire emotivamente alla paura. La paura ci protegge dai pericoli soggettivamente ma non è un’esperienza molto esaltante. Al contrario, si lega a una valutazione di sé deprimente; si fugge perché si ritiene di essere più deboli del pericolo, impotenti e fragili. Non resta che scappare. E quindi la rabbia ci rafforza, ci potenzia perché ci dice che siamo in grado di affrontare il pericolo e respingerlo, debellarlo dimostrando la nostra potenza a noi stessi e a chi ci circonda, illuminandoci di gloria. La rabbia inoltre ha anche un altro vantaggio: essa può legarsi in qualche modo a un gratificante giudizio morale positivo per noi stessi. Perché con la rabbia non ci si limita a nasconderci come capita con la paura. Si tratta di agire sugli altri cambiandoli e solo chi ritiene di fare del bene può giustificare la sua azione aggressiva senza essere fermato dai dubbi. Ci si sente non solo più forti ma perfino più buoni con la rabbia! … “La rabbia però presenta anche una serie di rischi. Aggredire significa assumersi la responsabilità di fare del male al prossimo. Grande potere che porta a una responsabilità che infatti gestiamo giustificandoci: siamo i buoni, come l’uomo ragno. Passata però la furia aggressiva che ci fa sentire giusti potremmo scoprire di avere mal diretto i nostri attacchi. Facilmente si passa dalla rabbia alla colpa, la sua gemella ansiosa e impaurita. La rabbia inoltre si esprime in episodi concitati che lasciano poco spazio al ripensamento: se fuggi e ti nascondi puoi sempre rimediare tornando indietro ed esporti al pericolo più coraggiosamente. Invece gli effetti dell’aggressione rabbiosa, una volta prodotti, non possono essere eliminati. Hai picchiato, non puoi far tornare indietro le botte. Al massimo si espia, magra consolazione soprattutto per la vittima che non sa che farsene dei nostri pentimenti” … “Se stessimo esagerando con la paura, poco male. Si tratterà di recuperare qualche giorno di lavoro o di scuola persi. Se esageriamo con la rabbia invece finisce che qualcuno si fa male e a qual punto ci sarà poco o nulla da recuperare.”


Cosa possiamo fare per affrontare tutto questo da un punto di vista emotivo?


ü Evitare la ricerca compulsiva di notizie e soprattutto non credere a qualunque cosa si legga sui social: qualunque sia la reale causa di questa pandemia, se è stata gestita male o no…etc.. accusare l’altro, criticarlo e demonizzarlo non porta nessun beneficio se non ulteriore ansia, stress o addirittura panico.


  • Fondamentale sarà trovare tempo per i propri bisogni, consapevolizzare le emozioni ed i sentimenti.

  • Utilizzare al meglio la tecnologia per comunicare e lavorare e non caderne preda.

  • Focalizzarsi sul presente e su un atteggiamento PRO-ATTIVO: chiedersi “Cosa posso fare IO, personalmente, in questo momento per migliorare a situazione?”

  • Cercare un supporto se necessario. Accettare i propri stati d’animo è il primo passo per capire se si è in grado di affrontare da soli tutto questo oppure se c’è bisogno di aiuto. Cosa più che mai umana in questo frangente.


Personalmente ho voluto vedere un qualche lato positivo in questa esperienza: nonostante tutti i disagi, ha dato modo ad ognuno di noi di ritirarsi in se stesso, ci ha regalato tempo per noi ed i nostri familiari (quando possibile) e ci ha dato la possibilità di lavorare su lati inesplorati di noi stessi e delle

dinamiche umane. Difficilmente lo avremmo fatto altrimenti. Qualcuno si sarà reso conto dell’importanza dei propri affetti, pensando anche a tutti coloro che hanno perso persone care senza poter intervenire e senza nemmeno poter stare loro vicino. Magari daremo meno per scontato ciò che abbiamo, impareremo la gratitudine per le piccole cose, come la libertà di fare una passeggiata o andare a fare la spesa. Io voglio credere che tutto avvenga per una ragione, nel bene e nel male. Così ho affrontato questo momento: credendo nella forza e nella resilienza dell’animo umano.


Articolo pubblicato sulla rivista ufficiale di Feditalimprese Piemonte


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